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La cooperazione internazionale in Congo: luci e ombre di un sistema

La cooperazione internazionale in Congo: attori, problemi e prospettive per salvare una nazione dilaniata da epidemie, guerre civile e sfruttamento economico . Per ulteriori approfondimenti sul mondo “Africa” e più in generale sul mondo che ci circonda, non esitate a visitare  la pagina https://lospiegone.com  e https://lospiegone.com/category/africa .

 

Ogni anno le Nazioni Unite, nell’ambito del programma UN per lo sviluppo, stila una speciale classifica dove quasi tutti i paesi del mondo sono analizzati secondo vari e fattori al fine di stabilire, con un metodo quanto più possibilmente scientifico, la qualità della vita all’interno di ogni singolo stato. L’indice per lo sviluppo umano (ISU o HDI) tiene quindi conto di fattori quali istruzione, aspettativa di vita e reddito pro capite. In questa classifica, le prime posizioni sono occupate da paesi con un indice molto alto come Norvegia (0,949), Svizzera e Australia (0,939), Germania (0,935) e così via a scendere progressivamente: l’Italia, nel 2016, occupava la ventiseiesima posizione, precedendo di poco altri paesi europei quali Spagna, Portogallo e Grecia. L’ISU Italiano è pari a 0,887, non male se paragonato al valore di paesi quali Niger, Ciad, Repubblicana Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo: tutti questi paesi occupano stabilmente le ultime posizioni della classifica, sancendo di fatto il triste predominio dell’Africa nelle ultime posizioni di questa classifica.

La Repubblica Democratica di Kinshasa occupa attualmente la posizione 174 su 186, con un trend assai negativo che negli ultimi due-tre anni ha fatto precipitare il paese dalle zone basse alle zone bassissime di questa speciale classifica. Oltre alla oramai più che decennale guerra civile nello stato del Kivu, il paese è flagellato dallo sfruttamento economico intensivo, dalla malnutrizione, dall’estrema povertà e per ultimo da una nuova epidemia di Ebola. Il 19 maggio, il Ministero della salute congolese ha confermato la scoperta di ben tre nuovi casi di contagio a Mbandaka, nel nord-est del paese: dal 1976, quando per la prima volta venne diagnosticata l’Ebola in territorio congolese, sono state ben 9 le epidemie, praticamente una ogni nemmeno cinque anni. I nuovi casi accertati del 2018 sono, ad oggi, meno di una cinquantina, ma si contano già numerose vittime in un paese che a stento permette a tutti i suoi cittadini di cibarsi ogni giorno con regolarità. La Repubblica Democratica del Congo è, senza grandi sorprese, uno degli stati al mondo più soggetto e dipendente dagli aiuti internazionali: aiuti, che purtroppo però, a causa di molteplici fattori, spesso non sono sufficienti. Per gestire al meglio questa immensa mole di denaro, Kinshasa avrebbe bisogno, a detta di molti osservatori internazionali, di una vera e propria rivoluzione a livello dirigenziale e politico, di un rinnovamento della classe politica troppo spesso impreparata o, ancora peggio, complice degli stessi problemi del paese. Il risultato, inevitabilmente, è che “grandi popolazioni vengono lasciate non assistite o assistite troppo tardi con pacchetti di aiuti incompleti, mentre il governo trascura la sua responsabilità di proteggere e aiutarli a ricostruire le loro vite [1]”.

[1] It results in large populations being left unassisted or assisted too late with incomplete relief packages, while the Government neglects its responsibility to protect and to help them rebuild their lives.

Come ammette però La Sida, l’agenzia governativa  svedese che su incarico della corona e del parlamento di Stoccolma ha come mission la riduzione della povertà nel mondo, non basta inviare i migliori esperti di qualcosa per combattere emergenze croniche che sommandosi tra di loro, e congiuntamente ai vari problemi che il paese ha, rendono la situazione assai critica, con un parametro di insicurezza stimato al pari di quella di Siria e Iraq [1]. Per la Repubblica Democratica del Congo sarebbero necessari interventi strutturali di ampio respiro, i quali siano adatti ed efficaci per combattere i problemi non nella loro manifestazione, ma nelle loro cause più profonde.

[2] As same causes often result to same effects, a continuation of the humanitarian crisis is expected. Humanitarians are only mandated, skilled and resourced for working on its most acute symptoms, not its root-causes. Those require political will, expertise for conflict resolution and longer-term recovery strategies. The potential for further unrest due to the electoral political crisis is concerning. Security forces are relocated to large cities were demonstrations are expected, leaving fragile areas or areas in conflicts without the required capacities for security.

The ongoing political crisis already develops in wide-scale violence and unrest in different parts of the country. This may spreads further to the point that the delayed electoral process becomes stalled

A livello planetario, secondo i dati forniti dalla Sida, i principali donatori internazionali attivi in Congo sono Stati Uniti, attraverso la Usaid, l’agenzia governativa per lo sviluppo internazionale, Giappone, Svezia, Gran Bretagna, Canada e Belgio: ognuno di questi paesi contribuisce come meglio può in un clima di generale sconforto, dovuto ai pochi risultati ottenuti e al moltiplicarsi delle crisi da fronteggiare; per un aiuto Usaid da 160 milioni di dollari per l’anno 2017, altri paesi, come L’Olanda, hanno sospeso i loro finanziamenti, volendo ancorare la questione migratoria che imperversa in Europa alla questione dei fondi che molti paesi europei (e non solo) versano per progetti di sviluppo internazionale che spesso falliscono senza produrre nessun benefit. Tra il 2003 e il 2011, infatti, il paese africano ha ricevuto un ammontare di aiuti pari  a 1.868 milioni di euro, di cui il 72% destinato a fondi per la cooperazione allo sviluppo, il 23,5% aiuti umanitari e la restante percentuale destinate alle politiche di sicurezza. Tra il 1996 e il 2011, l’Unione Europea finanziò la presenza in loco di un special envoy (EUSR): l’ufficio, prima presieduto dall’italiano Ajello e poi dall’olandese Van de Geer, è stato particolarmente attivo nei numerosi negoziati di pace che hanno coinvolto la regione dopo il crollo dello Zaire e la successiva guerra civile in Ruanda, permettendo di fatto l’avvento della missione ONU di peace keeping Monusc attiva nel paese dal 2010.  

Proprio la missione Monusc è stata funestata, ad inizio 2018, da un terribile attacco dei miliziani ribelli nelle regioni orientali del paese dove sono morti 14 caschi blu. Nonostante questo gravissimo episodio, la missione dell’ONU continua ad operare nel paese, dove ha lanciato, dietro finanziamento di 175.000 dollari, un progetto rivolto all’istruzione e alla formazione lavorativa di circa 490 donne vittime di abusi sessuali nelle regioni del Nord Kivu e zone limitrofe. Per combattere la criminalità organizzata giovanile, a Oicha, la Monusc ha presentato un progetto per dotare i quartieri più pericolosi della città di un sistema di illuminazione notturna alimentata dall’energia solare: il costo complessivo si aggira sui 50.000 dollari. La missione dell’Onu, prima ancora che riportare la pace in questo paese, è chiamata essenzialmente ad una funzione di supplenza del governo centrale, che di fatto ha “appaltato” ai caschi blu la gestione totale della sicurezza e il governo delle regioni più a rischio del paese.  

Anche l’Italia contribuisce attivamente alle politiche di cooperazione internazionale in RDC: tra il 2011 e il 2013 i fondi italiani, che contribuiscono per poco più del 12% dell’ammontare complessivo del FES (fondo europeo di sviluppo) 2008-2013, sono stati impiegati per il potenziamento della zona Sanitaria di Matadi, obiettivo ritenuto fondamentale dallo stesso governo congolese, per la costruzione di un centro  a Kinshasa rivolto a fornire assistenza ai malati d’Aids e finanziatore esso stesso della ricerca in campo medico; sul campo della sicurezza alimentare, invece, “ nel 2011 è stato realizzato un nuovo programma di aiuto, che ha previsto la distribuzione di riso e concentrato di pomodoro per un controvalore di circa 400.000 Euro alle fasce di popolazione più vulnerabile della capitale Kinshasa. Di significativa importanza è stata anche l’attività delle numerosissime ONG italiane operanti in RDC. La maggior parte dei progetti co-finanziati dal MAE, approvati negli anni scorsi, risulta in fase avanzata di realizzazione e riguarda settori prioritari quali lo sviluppo rurale, la sanità, la prevenzione delle epidemie, la formazione professionale e la protezione dell’infanzia abbandonata. Da rilevare inoltre l’estensione territoriale dei progetti che toccano praticamente quasi tutte le province del Paese”. La cooperazione italiana in Congo, però, è oggetto anche di feroce critiche: special modo il “Fatto Quotidiano” ha lanciato diversi servizi su questo tema. Innanzitutto, si è voluto rilevare come molti paesi europei, eccezion fatta per Svezia, Lussemburgo, Danimarca e Olanda, abbiano drasticamente ridotto la propria percentuale di pil destinata agli APS (aiuti pubblici allo sviluppo). Secondo una direttiva dell’ONU, ogni paese ad alto ISU dovrebbe versare lo 0,7% del proprio pil al fondo che gestisce appunto gli APS: Germania e Francia, insieme a Malta, Belgio, Irlanda e Finlandia si attestano su un 0,5% che molto si avvicina alle indicazioni internazionali, mentre altri paesi come Italia, Romania, Bulgaria, Cipro e Polonia viaggiano sulla media dello 0,15-0,2% circa. Tra il 2014 e il 2015, venne varata addirittura la riforma del sistema della cooperazione internazionale con la creazione di una Agenzia ad hoc che gestisse in autonomia i fondi destinati agli APS, che nelle stime del Governo Renzi avrebbero raggiunto lo 0,25% del pil. La riforma, ben accolta inizialmente dalle ONG, è stata poi oggetto di ripensamento non tanto per la presenza dei privati, non legati quindi al mondo non profit, ma piuttosto per lo statuto che, a loro parere, non permetterebbe una leale compartecipazione tra profit e non profit, svantaggiato il secondo a favore del primo settore. Solo il tempo sancirà la bontà o meno di questa operazione. 

Operare in Congo non è assolutamente facile, eppure il paese africano può vantare una nutrita schiera di onlus e altre organizzazioni, sia nazionali che internazionali, che investono massicciamente per portare speranza dove regnano le tenebre. Uno dei progetti più interessanti è sicuramente quello della piccola ma super attiva onlus Schola Mundi di Roma. La onlus collabora attivamente con altre istituzioni congolesi in aree particolarmente svantaggiate e attanagliate dalla lunga guerra civile che insanguina il paese.

A Milihu, nella periferia di Mweso, dal 2013, Schola Mundi e la Cadep Ong gestiscono il progetto “Gli Orti di Mweso”: 87 donne vulnerabili, tra cui molte vedove, ragazze madri, senza famiglia o profughe a causa della guerra, ricevono un’adeguata istruzione agraria e sono invitate a partecipare attivamente alla produzione di vari ortaggi, tra i quali si annoverano i cavoli, le carote, i porri e le melanzane. L’attività di formazione ha permesso loro di apprendere nuove tecniche, quali la semina in riga, la concimazione o la semplice irrigazione tramite canali, che ha permesso di aumentare sensibilmente la produzione di cibo del villaggio. Grazie a questo surplus, molte più famiglie possono cibarsi e di conseguenza far nutrire i loro figli; inoltre, grazie alla eccedenze rivendute al mercato, il progetto si sta avviando verso un completo autofinanziamento. Nella sola città di Mweso vivono circa 20.000 profughi che vanno irrimediabilmente ad ingrossare le fila dei già numerosi poveri e poverissimi della città rurale. Sempre a Mweso, la onlus Schola Mundi e la Cadep Ong hanno aiutato finanziariamente l’istituto tecnico agricolo della città: grazie alla collaborazione internazionale, sono arrivati i fondi necessari per la costruzione di una fattoria didattica, dove gli alunni, grazie all’acquisto di 3 mucche da latte, 5 pecore, 5 maiali, 10 conigli e 30 porcellini d’India, sono riusciti a studiare per la prima volta nella loro vita “su uno strumento didattico del genere”. Fino ad allora, infatti, l’istituto poteva permettersi al massimo qualche disegno degli animali che i ragazzi dovevano poi studiare. Piccole azioni, queste, che permettono al Kinshasa team di guardare con rinnovata speranza ad un futuro migliore, realizzabile anche grazie alla cooperazione internazionale tra i popoli.

Luca Perrone 

 

Si ricorda che il copyright di questo articolo appartiene solo ed esclusivamente al sito  https://lospiegone.com ed è stato gentilmente concesso alla onlus Schola Mundi. Ogni riproduzione, anche parziale, non autorizzata, è severamente vietata    

 

Fonti e bibliografia per ulteriori aggiornamenti

https://it.actualitix.com/paese/cod/repubblica-democratica-del-congo-indice-di-sviluppo-umano.php

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/14/repubblica-democratica-del-congo-la-sicurezza-alimentare-e-sempre-piu-lontana/1674616/

http://www.congotribune.net/rd-congo-trois-nouveaux-cas-debola-confirmes-a-mbandaka/

http://allafrica.com/stories/201805190192.html

https://www.sida.se/globalassets/sida/sve/sa-arbetar-vi/humanitart-bistand/hca-drc-2017---typad.pdf

http://eplo.org/wp-content/uploads/2017/03/EPLO_CSDN_Discussion_Paper_The-EU-and-peacebuilding-in-the-DRC.pdf

http://allafrica.com/stories/201801060170.html

http://www.congotribune.net/nord-kivu-la-monusco-finance-un-projet-dassistance-aux-victimes-dexploitations-sexuelles-a-sake/

https://ambkinshasa.esteri.it/resource/2012/07/19350_f_SchedaCooperazione2013.pdf

http://scholamundi.org/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/29/cooperazione-il-governo-lo-dica-se-non-e-interessato/278998/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/22/cooperazione-internazionale-i-dubbi-delle-ong-sullagenzia-a-un-anno-dalla-riforma/1975217/

 

Autore: Vito Conteduca - 2/7/2018



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