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Schola News: Le risorse africane: la storia della “Congo-torta” di Luca Perrone

Le risorse africane: la storia della “Congo-torta”

di Luca Perrone

Lo Spiegone: https://lospiegone.com/2018/04/07/le-risorse-africane-la-storia-della-congo-torta/

 

La Repubblica Democratica del Congo è uno stato dell’Africa centrale e conta quasi 81 milioni di abitanti. La capitale è Kinshasa. Nella sua storia il Congo ha cambiato più volte nome: Regno del Congo, Congo Belga, Congo Leopoldville o Libero Stato del Congo, Zaire e infine Repubblica Democratica del Congo. Ogni nome cela dietro di se una storia particolare, legata alle tormentate vicende storiche che questa terra ha dovuto affrontare.

Il Regno del Congo era un potente stato dell’Africa centrale, con diversi stati vassalli, un’economia florida e un esercito imponente. I portoghesi insediatisi sulle coste africane dell’Atlantico introdussero il cattolicesimo e, da quel momento, la nuova religione si diffuse velocemente in tutto il paese, tanto che gli stessi sovrani iniziarono ad adottare nomi di chiarissima provenienza iberica. Avremmo potuto così vedere un re Pedro, Joao I, Alfonso, Diego, Alvaro e così via.

Il regno sopravvisse, tra alti e bassi, tra guerre civili e caccia alle streghe, grossomodo fino alla fine del XVIII secolo o inizio XIX secolo, quando il suo territorio venne smembrato tra le diverse potenze coloniali della zona, Portogallo e Belgio in primis. Si consumò quindi il primo assaggio della Congo-torta. Il controllo del paese passò a Leopoldo II del Belgio che vi instaurò, con evidente sarcasmo, il Libero Stato del Congo: sarcastico perché il Congo non fu minimamente libero e venne assoggettato per oltre vent’anni al governo assolutista del sovrano belga, che trasformò il paese in un proprio dominio personale dove trovarono la morte oltre dieci milioni di persone.

Le proteste internazionali costrinsero Leopoldo a cedere il suo “giocattolino” allo stato che governava: fu così che nacque il Congo Belga. Leopoldo però ci ha fornito il primo ingrediente per la preparazione della Congo-torta: il caucciù, che estratto dalla popolazione indigena veniva inviato in Europa permettendo di ricavare enormi somme di denaro. Il Belgio iniziò quindi l’opera di colonizzazione e sfruttamento del paese e venne così scoperto il secondo ingrediente della nostra Congo-torta, l’uranio. Una delle regioni congolesi a più alta concentrazione di miniere è il Katanga, situato a sud del paese al confine con Zambia e Angola. Una regione destinata, dopo qualche anno, a segnare indelebilmente la storia del Congo.

Nel 1960 il paese ottenne, dopo difficili trattative, l’indipendenza dal Belgio: eroe nazionale fu Patrice Lumumba, nato nel 1925, ex lavoratore delle miniere, giornalista e attivista del movimento indipendentista congolese. Lumumba, dopo essere stato recluso nelle prigioni europee, riuscì a guidare le trattative per l’indipendenza e venne democraticamente eletto come Primo Ministro del Congo nel 1960. Nemmeno il tempo di festeggiare che il Katanga si dichiarò secessionista: sotto la spinta di ampi settori del mondo economico, militare e politico belgi, la regione si dichiarò indipendente dal Congo. Lumumba, durante un viaggio in Katanga organizzato per risolvere la questione, venne fucilato e parzialmente sciolto nell’acido. Non andò meglio al segretario generale delle Nazioni Unite, lo svedese Dag  Hammarskjöld, deceduto anche lui nel Katanga a causa di un misterioso incidente aereo mentre si recava nella regione ribelle per avviare trattative di pace.

La crisi del Katanga ci permette di scoprire nuovi ingredienti della Congo-torta: oro, diamanti, legname, avorio e carbone. Infatti, secondo Marco Simoncelli, giornalista di Nigrizia, “ogni anno oro, minerali, legname, carbone e prodotti della fauna selvatica come l’avorio, per un valore che si aggira intorno a 1 miliardo e 200 mila dollari all’anno (722-862 milioni se si esclude il traffico dei diamanti), vengono contrabbandati illegalmente fuori dalla zona di conflitto nelle zone circostanti all’interno del paese e anche al di fuori di esso, nei paesi confinanti della martoriata regione dei Grandi Laghi. Dall’oro si otterrebbero fino a 120 milioni di dollari all’anno, dal legno tra i 16 e i 48, dal carbone tra i 12 e i 35 e dai minerali tra i 7,5 e i 22,6 (sempre con l’esclusione dei diamanti che hanno varie provenienze, non solo dall’est della Rdc) e poi bracconaggio, tassazioni illegali e altre risorse, che assieme fanno un profitto che varia dai 14,3 ai 28 milioni”.

Lumumba l’aveva capito già nel 1960: prima di essere assassinato disse che “non esiste nessun problema a parte, specifico, del Katanga. Non è successo nulla. Il nocciolo del problema sta nel fatto che gli imperialisti vogliono adoperare le ricchezze del nostro paese e continuare a sfruttare il nostro popolo”. La morte di Lumumba venne a creare un vuoto politico ben presto colmato dalla forte personalità di Joseph Mobutu. Amico di Lumumba fin dai primi anni della loro militanza anticolonialista, ciò non gli impedì di essere tra i maggiori golpisti del 1961. Con lui il Congo diventò Zaire: il neo presidente infatti volle sostituire tutti i nomi di origine europea con nomi tradizionali africani. Il Congo diventò Zaire, Leopoldville diventò Kinshasa e Joseph Mobutu divenne  Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga, Mobutu “il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che nessuno possa fermarlo”.

Mobutu fu abilissimo a sfruttare il clima di guerra fredda per instaurare una salda alleanza in chiave anticomunista con gli Stati Uniti d’America: alleanza nata già grazie al golpe del 1960 e perdurata fino alla fine della guerra fredda, più precisamente fino al 1994. Per la regione dei Grandi Laghi, per l’Africa e per il mondo intero, il 1994 è l’anno della guerra civile in Ruanda, dove Hutu e Tutsi si massacrarono a vicenda nel tentativo di prendere il controllo del piccolo stato africano.

Lo Zaire accettò di ospitare numerosi profughi ruandesi, prima di etnia Tutsi, poi anche di etnia Hutu, a seconda di come si evolveva la situazione politica in Ruanda. I campi profughi ruandesi resero ancora più precario il già debolissimo equilibrio interno dello Zaire. C’erano dunque anche molti altri problemi: lontano dalla capitale Kinshasa, l’autorità del governo centrale zairese era molto indebolita. I génocidaires ruandesi contavano alleati nell’amministrazione locale delle due province del Kivu, e alcuni ufficiali delle ex FAR (Forze Armare Ruandesi) acquisirono, di fatto, il controllo dei campi. Gli operatori umanitari non erano assolutamente in grado di tener loro testa.

A Goma, le tende erano raggruppate per settore, comune, sottoprefettura e prefettura, come in un’immagine speculare dell’organizzazione amministrativa del paese che i rifugiati avevano da poco lasciato. La presenza degli ex dirigenti del Ruanda equivaleva, in realtà, a un governo in esilio. Gli ufficiali di alto grado delle ex FAR finirono con l’essere trasferiti in un campo a parte, e i loro subordinati furono persuasi a disfarsi delle uniformi; la popolazione, però, era chiaramente ancora sotto il loro controllo, e sotto quello degli interahamwe, milizie armate Hutu.

La presenza di esponenti armati nei campi profughi del Kivu, unita all’immobilismo della comunità internazionale, portarono al collasso del governo zairese. Il Kivu, con  la forte presenza di profughi sia di etnia tutsi che di etnia hutu, sarebbe stato al centro anche di un nuovo conflitto, scoppiato nel 2004 e perdurato fino al 2008, che sparse ulteriore sangue e morte in una terra già disperata e distrutta dagli avvenimenti degli anni precedenti.

La seconda guerra del Kivu ci permette di svelare l’ultimo ingrediente della nostra Congo-torta: il coltan. Questo minerale è indispensabile per la costruzione degli smartphone e il sottosuolo congolese ne è pieno: in altri paesi questa sarebbe stata considerata una grande fortuna, ma non in Congo. Molto spesso, come denunciato dall’articolo di Nicastro, il coltan è estratto e lavorato dagli stessi profughi, costretti dal “Signore della guerra di turno” a lavorare per lui con ritmi disumani, più vicini alla schiavitù che ad altro. Donne, uomini ma soprattutto bambini, costretti a lavorare per non essere uccisi, condannati allo sfruttamento più estremo: “lavorano dall’alba al tramonto in cunicoli soffocanti, spesso trasformati in trappole mortali dagli improvvisi allagamenti; vivono accampati in tendopoli costruite con lamiere e materiali di fortuna; sono decimati dalle malattie e privi di assistenza medica. Ma sono soprattutto alla mercé delle bande armate che li derubano, li uccidono e violentano le loro donne per assicurarsi il controllo delle miniere”.

Lo scorso 9 marzo, però, il presidente Kabila ha emanato una nuova legge riguardante le royalty spettanti a Kinshasa per la concessione delle miniere del paese. Le royalty sono delle tasse che le compagnie minerarie pagano allo stato proprietario delle miniere per poterle sfruttare e commerciarne i prodotti. Ad oggi, la royalty del cobalto, per esempio, era ferma ad un misero 2%, cifra quasi simbolica dato che negli ultimi due anni il prezzo di questo minerale è più che raddoppiato, venendo scambiato sulla borsa di Londra a più di 87000 dollari la tonnellata. Il nuovo regolamento prevede la divisione dei minerali in due categorie: strategici e classici. I primi avranno una nuova tariffa pari al 10%, mentre i secondi registreranno un leggero rialzo che si attesterà attorno al 3,5%. La speranza di Kinshasa è aumentare gli introiti proventi dai tesori del sottosuolo per fronteggiare emergenze politiche ed umanitarie sempre più incombenti. Il presidente Kabila ha anche annunciato nuove riforme sempre riguardanti l’attività estrattiva nel Congo: molto presto dovrebbe arrivare una super tassa sui profitti e la revisione dei contratti di gestione delle miniere.

Le nuove disposizioni dovrebbero contenere anche norme più severe circa il lavoro dei minori nelle miniere: secondo l’Unicef, solo nella zona del Sud-Est del Congo, lavorano più di 40.000 bambini. Il ministro del Lavoro e del Benessere sociale di Kinshasa, Lambert Matuku Memas, ha solennemente affermato che il lavoro minorile nelle miniere del Congo sparirà entro il 2025. Fino a quel giorno, a Kinshasa e non solo, in attesa dei risultati sperati derivanti dalla nuova legge sull’estrazione mineraria, non resta che sperare nella massima evangelica che “gli ultimi saranno i primi”. Infatti molti dubbi e incertezze accompagnano l’offensiva governativa contro le grandi compagnie minerarie e rischiano di far naufragare ogni singolo tentativo di cambiare la storia della nostra Congo-torta, che con i suoi ingredienti speciali fa gola a tutti.

Bibliografia e ulteriori approfondimenti:

Autore: Vito Conteduca - 11/4/2018



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